L’ avevano annunciato due giorni prima, l’ hanno fatto. Un’ importante assemblea pubblica si è svolta nella serata del 24 ottobre presso la Sala Azzurra comunale in via Villa Glori, a Brescia.
Attivisti locali di Rifondazione Comunista, Partito Comunista Italiano, Potere al Popolo, Sinistra Anticapitalista, Risorgimento Socialista, Carc hanno promosso l’evento.

Diciamo, per essere chiari, che alla chiamata ha risposto per intero la Sinistra extraparlamentare bresciana. Extraparlamentare non per rifiuto aprioristico della dimensione istituzionale o per mancanza di voti, ma a causa di leggi elettorali che con il passare degli anni si rivelano sempre più a ogni livello (politico generale, regionale, provinciale, comunale) come marchingegni truffaldini studiati da “ingegneri costituzionali” per consentire l’ accesso alla rappresentanza solo agli esponenti delle clientele dei due blocchi sistemici (destra – centrosinistra). Quelle che ormai sono le sole che si recano alle urne, dal momento che la metà, se non di più, degli aventi diritto al voto ha compreso l’imbroglio e non ci sta a farsi prendere ancora in giro.
Presenti all’ assemblea anche esponenti dei sindacati di base USB e COBAS, delegati IVECO sia di Fiom che Uilm e lavoratori, cittadini, cittadine.

Assenti al completo- non a caso- i rappresentanti delle istituzioni locali, che pure erano stati ufficialmente invitati a partecipare, nonché i delegati dei sindacati Fim Cisl (che preferisce partecipare ai convegni di Fratelli d’ Italia), Fismic e UGL.
Del resto, la scorsa settimana, lo stesso segretario della Camera del Lavoro, Francesco Bertoli, aveva definito il passaggio di mano dall’attuale proprietà agli Indiani di Tata Motors una soluzione «non disprezzabile». Aveva motivato la sua posizione spiegando che «negli ultimi anni l’attuale proprietà non ha fatto investimenti seri per rendere Iveco competitiva e stare al passo con l’evoluzione tecnologica dell’automotive». Evidentemente per lui i nuovi padroni Indiani offrono garanzie maggiori…
Nel silenzio assordante di Regione e Comune, e nella connivenza anche di una parte consistente del sindacalismo confederale, una minima iniziativa solitaria è stata presa da Gian Antonio Girelli del Partito Democratico, almeno per salvare la faccia del centrosinistra. Egli ha presentato infatti nei giorni scorsi alla Commissione Lavoro della Camera una risoluzione per impegnare il governo a tutelare occupazione, produzione e competenze industriali nel quadro della cessione, chiedendo all’esecutivo che «eserciti i poteri previsti dal Golden Power, vigilando affinché lavoro, ricerca e sviluppo restino in Italia».
Al centro del dibattito dell’ Assemblea del 24 ottobre, invece, la situazione reale della Iveco e dei circa 12 mila lavoratori del gruppo, dopo la vendita agli Indiani di TATA Motors, per 3,8 miliardi di euro, da parte degli Agnelli-Elkann. Si è detto cioè come stanno veramente le cose. “La famiglia” è interessata ad altre attività speculativo-finanziarie, più redditizie rispetto alla vendita di veicoli commerciali leggeri, medi, pesanti, mezzi per l’edilizia e il trasporto merci .

A giugno 2026 Tata Motors prenderà pieno possesso del gruppo. Nel frattempo, per lasciare calmare le acque, ha già dichiarato che- cara grazia- per due anni manterrà produzioni e posti di lavoro. Tuttavia ognuno dei presenti all’ assemblea era consapevole di quanto sta accadendo e sapeva che schierarsi dalla parte dei lavoratori è non solo utile ma necessario.
Quanto è avvenuto e come è avvenuto, infatti, non solo è grave, ma anche pericoloso per il futuro dell’industria e per l’occupazione presente e futura nel nostro Paese.
Il Governo dei patrioti nazionalisti identitari sovranisti ecc. ha invece semplicemente preso atto e “seguirà l’evolversi della situazione”. Sappiamo cosa ciò significhi.
Ogni volta che si è venduto/ ceduto un gruppo – vedi ILVA di Taranto – gli interessi, in questi casi stranieri, non sono mai stati di rilancio delle produzioni e conquista di nuove fette di mercato, bensì l’opposto.
La dinamica è tristemente nota. Il gruppo Tata, che ha acquistato la produzione civile di Iveco, ha gli stessi i obiettivi che aveva il gruppo Arcelor Mittal per l’Ilva di Taranto. Ha le idee chiare. Vuole acquisire conoscenze, marchi e mercati. Poi lasciare morire produzioni concorrenti alle proprie. Le chiacchiere- peraltro difficilmente intellegibili a chi le ascolta- del “ministro del Made in Italy” Adolfo Urso, che garantisce un grande futuro per le fabbriche italiane di camion, hanno lo stesso valore di quelle che fece a suo tempo Calenda per l’acciaio. Cambiano i governi nell’ alternanza delle clientele di Sistema, ma non la loro obbedienza verso i ricchi ed i potenti.
Un destino già segnato, dunque? Sì, a meno che non sorga qualche impedimento.
Per questo tutti i presenti hanno posto domande ben precise: davvero TATA Motors manterrà gli attuali già di per sè scarsi livelli di produzione?
La produzione principale degli ultimi anni è stata il solo furgone montato a Suzzara. Davvero essa sarà mantenuta insieme alla rete commerciale? E a Brescia, cosa avverrà delle 1500 persone che lavorano in IVECO ? Ancora delocalizzazioni?
Che cosa si fabbricherà insomma negli stabilimenti rilevati dalla TATA Motors?
Ci saranno investimenti nelle singole unità? Si valorizzeranno i prodotti attuali, si effettuando gli investimenti necessari? Oppure assisteremo all’ennesima operazione finanziaria speculativa come “l’acquisizione con indebitamento” che abbiamo visto in tanti altri casi?
Tanti dubbi, evidenziati dagli interventi dei delegati sindacali presenti, non solo per il singolo stabilimento ex-OM, ma anche per l’indotto.

Per ora, su tutta la materia, regna il buio pesto.
Il mantra dei partiti e dei sindacati di Sistema è il solito: “Deciderà il mercato”.
Così abbiamo assistito nel corso degli anni a chiusure di interi stabilimenti, alla rinuncia ad intere produzioni – autobus, auto, ecc- con migliaia di lavoratori in cassa integrazione ad arrangiarsi per arrivare a fine mese.
In questo quadro è possibile immaginare una fine diversa? Certo. Ma solo se la politica interviene e trasforma una losca operazione di acquisto in un futuro di lavoro.
Una menzione a parte merita, in tal senso, l’acquisizione dello spezzone IVECO DEFENCE VEHICLES, stabilimento di veicoli militari a Bolzano, da parte della Leonardo SpA, rimasto in mani pubbliche. Leonardo che sta già lavorando alacremente con i tedeschi di RHEINMETALL, i quali si occupano di veicoli militari. L’ obiettivo è costituire un polo in grado di produrre automezzi di morte. Mentre la finanziaria 2026 stanzia decine di miliardi per la guerra.
Ebbene, lo Stato ha pagato ben 1,7 miliardi alla famiglia Agnelli-Elkann, per un’azienda che ne fattura meno della metà in un anno: quasi 25 anni di profitti anticipati. Un prezzo che meriterebbe una spiegazione in Parlamento e che dimostra che i soldi si trovano e si buttano solo per gli affari militari.
Tutti i costi economici e sociali dell’affare Iveco li pagheranno i lavoratori ed i cittadini italiani, tutti i colossali guadagni andranno invece alla famiglia off shore Elkann-Agnelli. Non un euro ne verrà al paese.
È il capitalismo italiano, dominato da una classe imprenditoriale rispetto alle quali i baroni delle campagne di un secolo fa sembrano virtuosi e socialmente responsabili. Grazie alla complicità e al servilismo di politici e governanti, l’Italia è un paese saccheggiato da una razza predona.
L’Assemblea bresciana ha convenuto quindi che diventa necessario- in una situazione del genere- che si rivendichino scelte politiche da parte del Governo per indicare una prospettiva, una visione che produca un piano industriale per il settore.
Non si può assistere senza battere ciglio alla chiusura di una storica azienda, con migliaia di persone buttate in mezzo alla strada
Così come non vogliamo immaginare che, laddove si trovavano i piazzali della fabbrica, nascano grattacieli o peggio.
Le aree devono restare industriali per i prossimi decenni. Così mettiamo la prima pietra di un piano di rilancio vero per uno stabilimento che ha preso molto alla città.
La politica ha il compito di realizzare ciò, cancellando ogni preoccupazione sul futuro e dando una prospettiva di lavoro nel capoluogo e in provincia.
Coloro che si sono riuniti in Assemblea il 24 ottobre si rivolgeranno con un appello all’ opinione pubblica , alle forze politiche e sindacali per aumentare l’attenzione, la consapevolezza e la determinazione necessarie, per essere pronti a difendere il lavoro e la libertà.

Va detto esplicitamente: il nocciolo della questione risiede nella logica di fondo di ogni investimento capitalistico, e cioè nella “ferrea” legge del profitto, che fa sì che in questo sistema sociale i lavoratori siano una semplice merce, al pari dei camion che producono.
L’unica possibilità che renderebbe sicuro il lavoro operaio all’ IVECO è la nazionalizzazione, compatibile con l’ art. 42 della Costituzione (visti, tra l’altro, i miliardi regalati dai vari governi succeduti nell’ultimo secolo alla famiglia Agnelli-Elkann), da attuare sotto il controllo dei lavoratori. Come si può facilmente capire, ciò ha ben poco a che vedere con il semplice intervento attraverso l’immissione nel CdA di un rappresentante dello Stato o con il Golden Power. Simili affermazioni possono oggi destare scandalo, eppure sono frutto di una realistica valutazione della situazione.
EMMA RED

