L’ITALIA E BRESCIA AL VOTO SUI REFERENDUM: IL RUGGITO DEL GATTO

PERCENTUALI A BRESCIA E PROVINCIA

Si è votato appena nove giorni fa, eppure sembra un tempo lontanissimo.

Gli esiti del voto referendario sono stati ampiamente e variamente commentati, ma il fermento pare già sopito, anche perché altri fatti, ben più allarmanti, occupano le aperture di giornali, telegiornali e talk show.

Però la questione non può essere archiviata.

A Brescia si è recato a votare il 34,39% degli aventi diritto al voto, una partecipazione maggiore rispetto alla media nazionale ferma al 30,58 %; questo dato rende il fallito quorum meno amaro. La percentuale, però, scende in provincia al 26,59% ricalcando il trend nazionale, che vede i capoluoghi più coinvolti rispetto ai paesi, e le zone centrali registrare una maggiore affluenza rispetto alle periferie.

UN’ IMPROPRIA POLITICIZZAZIONE

L’impropria politicizzazione della consultazione referendaria ha distorto la lettura dell’esito del voto, e prima ancora ne ha, in qualche modo, orientato le scelte. Brutalmente: il centrosinistra si è intestato solo il Sì; il centrodestra si è intestato due risultati: il NO e l’astensione. Non era difficile capire quale parte politica sarebbe stata più esposta alla sconfitta. Purtroppo la campagna referendaria è stata impostata così fin dall’inizio e non c’è stato verso di poterla orientare maggiormente sui temi specifici trattati dai quesiti.

LE VERE QUESTIONI

Giusto per ridare luce alle vere questioni che erano in ballo, i cittadini si sono espressi sul reintegro nel posto di lavoro del lavoratore ingiustamente licenziato in aziende con più di quindici dipendenti (quesito 1); sull’eliminazione del limite al risarcimento del lavoratore ingiustamente licenziato in aziende con meno di quindici dipendenti (quesito 2); sulla necessità di motivare l’assunzione nei contratti a termine (quesito 3); sulla responsabilità della ditta appaltante in solido con le ditte chiamate in subappalto nel caso di infortuni sul lavoro (quesito 4); sulla riduzione da dieci a cinque anni di residenza legale in Italia per potere chiedere la cittadinanza (quesito 5).

LA RISPOSTA DEI BRESCIANI

Gli elettori di Brescia città, in grande maggioranza (65,61%) non si sono sentiti sollecitati dalle questioni poste e sono andati al lago o altrove.

Nel 34,39 % dei votanti sono compresi coloro che hanno deliberatamente fatto la croce sul NO per rifiutare il reintegro (10,94%), il tetto al risarcimento (12,40%), la riduzione del precariato attraverso l’obbligo di motivare le assunzioni a tempo determinato (10,96), la responsabilità solidale in merito alla sicurezza sul lavoro (12,65) e la possibilità di chiedere la cittadinanza dopo cinque anni di residenza legale (34,51).

A PROPOSITO DI CITTA’ E PROVINCIA INCLUSIVE

Quest’ultimo è il dato più eclatante: in barba a quanto parrebbe emergere da tutte le manifestazioni solidaristiche e le buone intenzioni dichiarate, oltre un elettore di Brescia su tre (tra coloro che hanno votato!) non vuole che chi risiede, lavora, paga i contributi, magari è anche nato o nata qui e frequenta la scuola insieme ai nostri figli possa chiedere di avere la cittadinanza dopo cinque anni di residenza legale e continuativa. Se al NO dei votanti si somma la percentuale degli astenuti – è una forzatura, lo so – risulta che i tre quarti delle elettrici e degli elettori bresciani non si impegnano per estendere i diritti a chi lavora, vive, contribuisce al bene collettivo, ma è “straniero”.

Brescia è guidata da un’amministrazione comunale di centrosinistra. Non c’è altro da dire.

Spulciando il sito del Ministero dell’interno si trova che in alcuni Comuni della provincia di Brescia i NO hanno di gran lunga superato i Sì nel quesito sulla cittadinanza. Ad esempio, a Capovalle, i pochi elettori che si sono recati a votare si sono espressi al 70,6% per il NO.

LA QUESTIONE DEL QUORUM PER I REFERENDUM

Si potrebbe dire: è la democrazia, bellezza. Ed è qui che bisogna fermarsi un attimo. Qualora si riduca il quorum dal 50% + 1 – attuale soglia per la validità della consultazione referendaria in senso abrogativo -ad una soglia più bassa e compatibile con i livelli di astensionismo riscontrati, sarebbe accettabile legittimare una minoranza a decidere per tutti? È una questione importante.

Il vento spinge verso le oligarchie decidenti, vogliamo fare il lifting anche al Popolo riducendolo a Popolino?

C’è da osservare che sarebbe una riforma alla moda, seguendo il trend: l’importante è decidere, ridurre, semplificare, adattare e adattarci alla delega ai meno. Per carità, si può fare, basta saperlo.

Si obietta: ma allora non si deciderà mai nulla con questo quorum inarrivabile, il referendum non funziona, è disertato dai più, bisogna abbassare l’asticella.

Parliamone.

LA FUNZIONE DEI REFERENDUM

Lo strumento referendum serve a censurare l’operato del Parlamento. Quando il Popolo, una parte del Popolo, dissente e non gradisce quanto deliberato dalle Camere ha gli strumenti che la Costituzione mette a disposizione per l’esercizio diretto della democrazia. Si possono, in tal modo, rimettere in causa le determinazioni parlamentari. Sacrosanto diritto. Ancora più sacro e più santo ora che il Parlamento ha drasticamente ridotto la propria rappresentatività a causa di leggi elettorali truffaldine e incostituzionali, e, come se non bastasse, ha ridotto pure il numero dei parlamentari. Sacrosantissimo è il diritto di contestare e provare a cambiare le leggi se si considera che al Parlamento, quindi al massimo organo rappresentativo del Popolo sovrano, è stato sottratto di fatto (e poco ci manca anche di diritto) il potere di legiferare. Una cura dimagrante che ha ridotto a scheletro la democrazia.

Sono anziana al punto di ricordare uno sketch comico in cui Johnny Dorelli impersonava il dottor Jekyll/mister Hide nell’atto di aiutare una vecchina ad attraversare la strada. Siccome Dorelli Jekyll aveva assunto una dose di pozione insufficiente, mentre accompagnava all’altro marciapiede la malcapitata, alternava repentinamente le due identità dicendo a se stesso: “Devo giovare/devo nuocere”, pertanto strattonava la poveretta a volte miracolosamente salvandola, a volte gettandola sotto alle macchine.

Speriamo di non fare questa fine.

GIULIA VENIA