TRIONFALISMI FUORI LUOGO
Malgrado gli annunci trionfalistici in campo economico della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, le ultime rilevazioni statistiche effettuate nel mese di maggio dimostrano che anche a Brescia- pur considerata una delle città più ricche d’ Italia- perfino il “ceto medio” ormai annaspa.
I redditi non aumentano di pari passo con l’inflazione. Questa tendenza ormai consolidata si riflette nelle difficoltà di tanti lavoratori e di tante famiglie costrette a dolorose rinunce. Non solo quelle già di per sé decisive come comprare casa o fare figli, ma anche quelle legate alla sopravvivenza, come l’ accesso ad alcuni servizi di welfare, a partire dall’ assistenza sanitaria. Scelte di vita fondamentali diventano sempre più complesse o impattanti. Tra il 2019 e il 2023 si è registrato un aumento di tutte le voci di spesa nel Bresciano. In particolare, il valore medio delle spese per immobili è cresciuto del 36,3%, quello delle spese per istruzione e sport del 7,7%, e quello delle spese sanitarie del 6,4%.

Sono state le Acli lombarde, insieme all’Istituto per la ricerca sociale, quindi due enti sicuramente non imputabili di estremismo, a mettere nere su bianco con tanto di statistiche inoppugnabili questa amara verità.
Lo hanno annunciato a metà maggio attraverso un’ anteprima del rapporto dell’Osservatorio vulnerabilità e resilienza (OVeR) per l’anno 2025, che sarà presentato ufficialmente a ottobre.
ALLARME NEL BRESCIANO
Le situazioni critiche sono diffuse in tutta la regione. Ma a Brescia e provincia ci sono alcuni elementi di particolare allarme.
Esaminando i dati raccolti dai 730 compilati nei Caf Acli da 68.642 bresciani, divisi tra pensionati e lavoratori dipendenti, si è constatato che il reddito medio dichiarato per l’anno 2024, che quindi fa riferimento al 2023, è stato pari a 24.833 euro. In leggera crescita rispetto agli anni passati (+5,2% rispetto al 2022) ma decisamente al di sotto di quello del resto della Lombardia. La media regionale si attesta infatti su 27.508 euro.
A spiegare questo divario stanno vari motivi. Le diverse tipologie di lavoro, la presenza di lavoratori immigrati (la percentuale di stranieri che si rivolgono a Caf Acli nella nostra provincia è superiore alla media lombarda), ma soprattutto una questione anagrafica (il Caf Acli di Brescia presenta la più bassa percentuale di pensionati) inquadrano le origini del problema.
L’ EROSIONE DEI REDDITI
Il dato molto preoccupante è inoltre che il reddito equivalente a valore costante, una ponderazione del reddito nominale basata su nucleo familiare e inflazione, dimostra come si stia erodendo il potere d’acquisto nella nostra provincia: si attesta a 17.216 euro nel 2024.
Dalle prime rilevazioni dell’osservatorio risalenti al 2020 ad oggi, nel lustro post-covid, si è registrato un calo del -2.5%. Si è assottigliato inesorabilmente il ceto medio. Se questa erosione risulta meno marcata a Brescia rispetto ad altre province lombarde, ciò è dovuto solo al fatto che il reddito medio pro capite si attesta su un livello inferiore al resto della regione.

I COLPITI
Dall’inflazione sono maggiormente colpiti i lavoratori dipendenti rispetto ai pensionati, che restano comunque tra i meno abbienti della Lombardia.
Entrambe le categorie vedono insomma il loro potere d’acquisto lacerato. Nonostante ciò le voci di spesa dichiarate nel 730- come abbiamo detto- sono tutte in aumento: sanità, istruzione e sport, assicurazioni e anche immobili.
Con i redditi che non tengono il passo rispetto alle spese, si nota che la soluzione adottata dai contribuenti è quella di una riduzione percentuale rispetto alle voci di spesa sopra elencate. Di fronte ad una povertà crescente, molte famiglie rinunciano all’accesso a servizi di welfare.
I Bresciani sono sempre più poveri anche rispetto ad altre province lombarde. Il reddito pro capite di Brescia è inferiore a Bergamo e molto sotto Milano, che rimane il polo economico più forte.
Dopo la pandemia è aumentata la forbice tra ricchi e poveri, tutelati e precari, strutturati e vulnerabili.

PROVVEDIMENTI PUNITIVI
Come se non bastasse, alcuni provvedimenti adottati dal Governo Meloni non hanno fatto altro che creare ulteriori storture, o penalizzazioni nei confronti di consistenti fasce di cittadini.
Ad esempio il nuovo assegno unico, il sostituto delle detrazioni, da un paio di anni va a fare cumulo nel calcolo dell’Isee. Questo significa che famiglie già in difficoltà (tanto da avere diritto all’assegno) si vedono aumentare il reddito. Ciò fa perdere loro la possibilità di accedere a bonus quali dote scuole e dote sport. Quest’anno poi vengono tolti dal calcolo ai fini Isee i depositi postali e del tesoro fino a 50mila euro. L’ effetto paradossale è di aiutare chi ha di più e penalizzare chi ha di meno!
TASSE: I SOMMERSI E I SALVATI
C’ è poi tutto il capitolo delle tasse.
La conferma che le imposte, con il Governo Meloni, sono aumentate l’ha fornita recentemente un altro organismo non sospetto, ossia l’ Ufficio Parlamentare di Bilancio.
La maggioranza di ultradestra ha aumentato la paga a deputati e senatori, reintrodotto la pensione a chi fra essi l’aveva persa dopo processi in cui erano stati condannati per essere stati sorpresi con le mani nel sacco, come si dice.
Allo stesso tempo ha aumentato le tasse per i salari fino a 35mila euro lordi, riducendo il meccanismo del fiscal drag che automaticamente porterà ad un aumento del prelievo fiscale.
Tutto ciò, mentre da anni l’Istat spiega che gli unici a pagare senza scampo i tributi fino all’ ultimo centesimo sono i lavoratori dipendenti e i pensionati. Per le altre categorie ci sono grandi percentuali di evasione, contro la quale non si vuole combattere bensì “lavorare sulle cartelle esattoriali”.
“A chi non ha pagato diamo la possibilità di farlo a rate… Anzi, se continuano a votarci, proseguiremo con i condoni” lascia intendere Salvini. Non a caso nei loro quasi tre anni di Governo, Meloni e soci ne hanno varati una ventina.
Insomma solo chi produce reddito e fatica ogni giorno continua a pagare. Potrebbe cominciare a ribellarsi? Secondo me sì …
DARIO FILIPPIN